CAPPELLA PALATINA PALERMO. Progetto Muqarnas 1. Iconografia musicale

CAPPELLA PALATINA PALERMO. Progetto Muqarnas 1. Iconografia musicale

Abbiamo in Sicilia la più strepitosa raccolta di immagini musicali del secolo XII di tutto il Mediterraneo: i dipinti arabo-persiani della Cappella Palatina di Palermo e della cattedrale di Cefalù.

Dal 1997 studio questi repertori iconografici preziosissimi, confrontandoli con tutti quelli provenienti dai paesi mediorientali, dagli stati nordafricani e dalla Spagna.

L'apporto di tanti specialisti e studiosi di questi paesi mi ha portato ad identificare caratteristiche specifiche degli strumenti a corde siciliani di quell'epoca: Oud (Barbat), Rebab, Qitara.

Tali particolarità mi hanno indotto a effettuare adeguate sperimentazioni nella ricostruzione di strumenti musicali che non sono affatto identici a quelli attualmente in uso nei paesi di cultura araba: Oud, Rebab, Guimbri, Loutar.

Il confronto con tali strumenti, con le prassi costruttive ed esecutive di oggi è certamente imprescindibile, come anche la ricerca sui repertori, di cui abbiamo totale carenza, ma ciò non ha reso inutile la ricostruzione e la sperimentazione al fine di riprodurre gli strumenti raffigurati nel modo più fedele e riproducendo le loro peculiari caratteristiche.

E' così che non abbiamo timore di affermare che veramente esistevano l' Oud siciliano, i Rebab e la Qitara siciliani.

 

 

     

                                               

 

       

La Cappella Palatina del Palazzo dei Normanni di Palermo fu edificata intorno alla metà del secolo XII per iniziativa del re Ruggero II. Famosa per i mosaici che ne adornano tutte le pareti e la cupola, conserva anche  soffitti lignei di gran pregio, finemente dipinti. Il soffitto della navata principale, con struttura alveolare, detta “a muqarnas” è di difficile fruizione, trovandosi a 15 metri di altezza in area poco illuminata. Le decorazioni pittoriche dei due soffitti a trabeazione delle navate laterali sono invece molto più visibili.

Le pitture sono opera di maestranze di scuola “Arabo-persiana”, il cui stile inconfondibile si dispiega su tutte le superfici possibili dimostrando una chiara tendenza all’ “horror vacui”.

Con colori accesi e senza risparmio di motivi decorativi vengono raffigurati personaggi per lo più recanti strumenti musicali, identificabili secondo alcuni con le “Uri” del paradiso islamico, secondo altri con personaggi della Corte. Nei contorni delle stelle ottagonali che costituiscono gli scomparti principali della complessa struttura alveolare vi sono dipinti versetti del Corano in caratteri cufici, che da lontano si prendono per ghirlande e decorazioni.

I pittori, provenienti dal medio-oriente o siciliani, non sappiamo, ritrarrebbero il Paradiso islamico, identificabile però anche con la vita e le delizie della Corte reale.  Le Uri suonano i loro strumenti in magnifici giardini adorni di palme, di tralci di vite con grappoli d’uva e pampini, circondate da vasetti che presumibilmente contengono meravigliosi profumi o liquori. Analoghe a quelle di Palermo sono le pitture che adornano le travi del soffitto della Cattedrale di Cefalù in cui sono ritratti gli stessi soggetti dipinti col medesimo stile. Purtroppo si tratta di pochi frammenti dell’opera originale, situati oggi in un luogo quasi inaccessibile. Dedicò ad essi qualche pagina il prof. Carlo Emilio Carapezza di Palermo sulla rivista Nuove Effemeridi, una trentina di anni fa e una delle immagini da lui pubblicate , quella di una suonatrice di Qitara, diede impulso a un lavoro di ricostruzione dello strumento che mi fu affidato nel 1997. L’esito del lavoro fu spettacolare, con un concerto di musiche del mediterraneo svolto nella Cattedrale di Cefalù, per iniziativa di Italo Gomez. 

Solo successivamente rivolsi la mia attenzione ai dipinti della Palatina, studiando soprattutto i Rebab (cordofoni ad arco) in vista della loro ricostruzione, che negli anni ho effettuato producendo molteplici esemplari in due taglie diverse: piccoli a due corde e più grandi a tre, ma soprattutto sperimentando la costruzione della cassa di risonanza in ceramica, oltre che in legno.

La fortuna di avere incontrato una troupe di archeologi-registi mi permise di avere delle belle immagini dei soggetti musicali della Cappella, altrimenti irreperibili.

Passeggiando sotto le due navate laterali si possono scorgere una serie di musici che suonano degli Oud (liuti arabi). Sono in vesti di colore  bruno-rossiccio con fasce dorate, ritratti a mezzo busto e provvisti di aureole. Questi personaggi sembrano piuttosto “cristianizzati”, rispondono cioè, essendo forse più in vista, a delle convenzioni iconografiche familiari all’arte cristiana, pur restando, nel colore e nella tipologia degli strumenti, uniformi al contesto generale delle pitture. Fa eccezione una splendida suonatrice di Rebab che, in ampie vesti bianche, sedendo a gambe incrociate, priva di aureola, suona con aria estatica il suo slanciato strumento ad arco a tre corde.

Passando a considerare le figure del soffitto centrale, solo disponendo di strumenti di ingrandimento, possiamo individuare numerose suonatrici, di Oud, di Qitara (liuti piccoli), di Rebab a due e a tre corde, e di Salterio (uno solo), più qualche rara raffigurazione di suonatrici di flauto e di percussioni. Qui la postura, gli abiti, gli sfondi, rispecchiano in pieno un’ambientazione e uno stile  medio-orientali, senza concessioni.

Il Liuti (Oud) sono gli strumenti più raffigurati: hanno tutti la medesima struttura, con cassa ovale o piriforme e 5 corde doppie suonate con sottili plettri, cavigliere riverso all’indietro,  decorazioni geometriche.

Seguono le Qitare, versione più piccola, sottile e slanciata del Liuto, con tre corde doppie, suonate a plettro e cavigliere ricurvo adorno di una testa scolpita, di solito ritraente un cane (Cirneco?). La ricostruzione di questo tipo di strumento, con tavola armonica in pelle di capra (la stessa che si usa per i tamburelli siciliani), corpo monoxilo e corde in budello, ha dato risultati sorprendenti: ci si poteva aspettare un suono secco, come nel Banjo, invece il timbro è risultato dolcissimo, senza mancare del giusto volume.

I Rebab a due o tre corde sono da annoverare tra i primi strumenti ad arco raffigurati in Europa. Le tavole armoniche in due colori suggeriscono una fattura in due materiali: legno e pelle.  La forma e il colore degli strumenti, che richiamano da vicino i vasetti alle spalle delle suonatrici, fanno pensare alla possibilità che le casse armoniche, ancorché di legno scavato, potessero essere realizzate in ceramica. La ricostruzione di questi strumenti ha rivelato che quelli fatti in ceramica forniscono un suono potente con attacchi immediati, mentre quelli in legno hanno una sonorità più delicata.

Il Salterio di forma quadrata costituisce un “unicum” tra gli strumenti della Cappella e mostra con chiarezza dei piccoli ponticelli, molto probabilmente mobili, che possono indicare una interessante soluzione per variare a piacimento le possibilità di esecuzione di diverse scale o “maqam”. Di questo strumento ho in progetto una ricostruzione, basata anche sul confronto con i salteri di forma analoga in uso presso i monasteri occidentali e di cui abbiamo numerose raffigurazioni e descrizioni. Non dimentichiamo che le origini di questo strumento sono da ricercare nel mondo medio-orientale in epoca precedente la nascita di Cristo e che successivamente esso entrò a far parte delle tradizioni dei popoli del Mediterraneo diffuse poi nel Continente attraverso la cultura cristiana.

Per quantità e qualità queste raffigurazioni di strumenti musicali  rappresentano una delle più interessanti e generose fonti di informazione organologica per l’Europa del XII secolo, eppure sono ancora poco note anche fra gli addetti ai lavori. Basti pensare che fino ad oggi è stata dedicata loro solo una piccola pubblicazione italiana e un breve articolo in una raccolta francese (1).

Non resta per ora che recarsi “in loco” armati di un buon binocolo per godere lo spettacolo di questa grande enciclopedia degli strumenti musicali della Sicilia dei tempi d’oro.

 

 (1) David Gramit, I dipinti musicali della Cappella Palatina di Palermo, Palermo, Officina di studi medievali, 1986.

Giuseppe Severini, La reconstitution des rebabs d’après les peintures du XII siècle de la Chapelle palatine à Palerme, in: L’instrumentarium du Moyen Age : la restitution du son. Paris, l’Harmattan, 2015.

 

 

                                        

 

          

 

    

       

Citoles des Cantigas de S.Maria

Citoles des Cantigas de S.Maria

 

CITOLES

DANS LES MINIATURES DES CANTIGAS DE S.MARIA

 

Giuseppe Severini et Salvatore Scandura

 

Parmi les instruments à cordes pincées représentés dans les miniatures des Cantigas de Santa Maria, trois semblent avoir une certaine parenté : la guitarra morisca (si on peut l'appeler ainsi) et deux modèles différents de citole.

Le premier est représenté quatre fois entre les mains de musiciens aux traits européens et une fois entre les mains d'un Maure. Il a un long manche, une table d'harmonie ovoïde, probablement en cuir, comme on pourrait le penser en observant les très petites perforations.

Parmi les différentes représentations, il existe des variations dans les dimensions, dans la forme du cheviller et dans le nombre de cordes.

 Les citoles sont exclusivement entre les mains de musiciens aux traits européens, et semblent être de deux types : l'une à bord pointillé et l'autre à bord simple. Dans les deux cas, les rosaces ont des perforations  larges et le manche, les chevilles et le nombre de cordes sont également les mêmes.

 

Notre idée est que entre la guitarra morisca avec table d'harmonie en peau et la citole avec table d'harmonie en bois, il y avait un moment de transition dans lequel la citole avait une table d'harmonie en peau.

 

-          La table d'harmonie. Dans les instruments arabes tels que les rebabs et les luths du genre Guimbri, la table d'harmonie en cuir est collée au corps de l'instrument en fixant latéralement les bords de la peau avec des épingles en bois.

Nous avons essayé une autre technique.

 

 Nous avons conçu un cadre en bois de cyprès de 6 mm d'épaisseur, sur lequel nous avons collé et fixé la peau à l'aide de colle forte et de 100 petites épingles en bois. La rosette fonctionne comme un élément de résistance.   Lorsque la colle a complètement séché, nous avons découpé les bords extérieurs du cadre et finalement collé le cadre à la caisse.    

 -     La touche repose sur deux supports qui lui donnent l'angle just.

 -    Le silletEn observant attentivement les figures des Cantigas, nous avons observé que la touche se termine en pointe et dans l'espace derrière le sillet, il y a quatre trous pour faire passer les cordes.   

 -    Le cheviller.  Nous avons reproduit le cheviller tel qu'il se présente, avec une section triangulaire, dans les côtés du quel s'insèrent les quatre chevilles, deux de chaque côté. 

-       La division de la touche et l'accord.

Cinq frettes sont observées dans les peintures. S'ils suivaient un arrangement chromatique, ils  arriveraient à la quarte. Nous avons choisi une disposition diatonique suivant la gamme pytagoricienne (touche modale). Si l’on utilise l’ accord suivant: G2 C3 F3 C4 on aura ces séries sur la touche : do re mi fa sol la (hexacorde  naturel) et fa sol la sib do re (hexacorde mol). La deuxième corde (corde mobile) peut être haussée jusqu’à G3, créant la série sol la si do re mi (hexacorde dur) dejà presente sur la corde plus grave. Ainsi  on peut jouer les differentes melodies des Cantigas et les accompagner aussi avec des « power chords »  puissants et faciles à exécuter.  

-  Le chevalet est en peuplier avec des pieds arrondis de 10 mm d'épaisseur. 

-  Le cordierIl n'y a pas de cordier. Les cordes s'accrochent à des chevilles en bois fixées dans le bord inférieur de la caisse. 

-  Diapason, cordes et frettesLe diapason de l'instrument mesure cm. 60.Les cordes et les frettes sont en boyau naturel, de notre propre fabrication. 

Diametres

 

Frettes :  mm. 0.95

 

Cordes :

 

C4          mm. 0.58

F3                   0.68

C3                   0.80

G2                   1.20

 

La préférence est pour les basses tensions.

 

Conclusions

Nous avons beaucoup appris de cette expérience: les qualités sonores de la peau, surtout, et, après, l’inutilité de la touche chromatique pour jouer la musique des Cantigas.  Nous voudrons essayer de faire des Citoles similaires mais de taille plus petite, par exemple, diapason cm.48 ou 52.

 

                                                                                                                        

 

TRADUCTION

 

Tra gli strumenti a corde pizzicate ritratti nelle miniature delle Cantigas de S.Maria,  tre ci sembrano avere una qualche relazione: la guitarra morisca (se così possiamo chiamarla) e due diversi modelli di citola.

La prima è raffigurata quattro volte nelle mani di musicisti con tratti europei e una nelle mani di un Moro. Ha un lungo manico, la tavola armonica ovoidale, probabilmente in pelle, come si può pensare osservando le traforature molto piccole.

Tra le diverse raffigurazioni si osservano varianti nelle dimensioni, nella forma del cavigliere e nel numero delle corde.

Le citole sono esclusivamente nelle mani di musicisti dai tratti europei, e sembrano essere di due tipi:  uno con il bordo della tavola armonica puntinato e l’altro con il bordo semplice. In entrambi i casi le rosette hanno traforature abbastanza grandi e anche manico, cavigliere e numero di corde sono gli stessi.

La nostra idea è che nel confronto tra  guitarra morisca con tavola armonica in pelle e citola con tavola armonica in legno, vi sia stato un momento di transizione in cui la citola avesse la tavola armonica in pelle.

 

  • La tavola armonica.

Negli strumenti arabi come Rebab e Liuti del genere Guimbri, la tavola armonica in pelle è incollata al corpo dello strumento fermando i bordi della pelle lateralmente con spine di legno.

Noi abbiamo provato una tecnica diversa. Abbiamo disegnato un telaio di legno di cipresso dello spessore di mm.6, sul quale abbiamo incollato e fissato la pelle utilizzando colla forte e 100 piccole spine di legno. La rosetta funziona come elemento di resistenza. Quando la colla si è completamente asciugata abbiamo ritagliato i bordi esterni del telaio e infine abbiamo incollato il telaio alla cassa.

 

  • La tastiera

La tastiera è appogiata a due supporti che le conferiscono la giusta inclinazione.

  

  • Il capotasto

Osservando attentamente le figure delle Cantigas si nota che le tastiere terminano a punta e nello spazio dietro il capotasto ci sono quattro buchi per il passaggio delle corde.

 

  • Il cavigliere

Abbiamo  riprodotto il cavigliere così come appare, con una sezione triangolare, nei lati del quale sono infissi i qattro piroli, due per lato.

 

  • La divisione della tastiera e l’accoradura.

Nei dipinti si osservano sempre cinque tasti. Se seguissero una disposizione cromatica sarebbero veramente pochi. Abbiamo scelto una disposizione diatonica seguendo la scala pitagorica (tastiera modale). Se usiamo questa accoradatura: G2 C3 F3 C4 avremo sulla tastiera queste serie : do re mi fa sol la (esacordo naturale) e  fa sol la  si do re, (esacordo molle). La seconda corda (corda mobile) può essere portata a G3, realizzando la serie sol la si do re mi (esacordo duro).  Si possono così eseguire con facilità diverse melodie delle Cantigas e accompagnarle con « power chords » efficaci e facili da eseguire.

 

  • Il ponticello

Il ponticello è in pioppo con piedi arrotondati, dello spessore di mm.10.

 

  • La cordiera

La cordierà non c’è. Le corde si agganciano a dei pioli di legno infissi nel bordo inferiore della cassa.

 

  • Diapason, corde e tasti

Il diapason dello strumento è cm. 60.

Le corde e i tasti sono in budello naturale, di nostra fabbricazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

Organistrum: its tuning and keyboard

Organistrum: its tuning and keyboard

ORGANISTRUM : ITS TUNING AND KEYBOARD.

 

The aim of the present article is to present the ultimate result of my research on the possibility of rebuilding the Organistrum.

Please read my article on-line: https://ojs.unito.it/index.php/archeologiesperimentali/article/view/8489

see also:  Giuseppe Antonio Severini, Organistrum. Un caso di archeologia sperimentale. Tipheret, 2020. Italian text only.

 

1.Sources and features

The information we have on the instrument comes from a dozen images in books and works of art of the 12th century.

Constant elements

  1. The Organistrum has an « 8 » shape, with a rectangular extension.
  2. The dimensions are such as to occupy the knees of two men seated side by side.
  3. The wheel and the crank are a characteristic element, as are the three strings, in one case two, in one other perhaps one.
  4. The row of keys ends within the middle of the string.

Variable elements

 The number of keys can change: 6 to 11 (or 12).

 

Unknown elements

 I. There is no information about the tuning and the musical scale but from a plate in Martin Gerbert, De cantu et musica sacra, 1774. The same drawing gives an idea of the possible mechanism of the keys.

II. We know nothing more about the inner structure of the keyboard.

 

From these premises it follows that the replicas of the Organistrum so far attempted are at least partly hypothetical.

This obviously concerns the Variable elements  and the Unknown Elements.

Almost all the replicas take as a model the Organistrum of the Portico de la Gloria of Santiago de Compostela because, compared to all the other representations it is the richest in details, it has the maximum number of keys, it occupies the most important location.

 

There are 12 keys within the octave, the first of which should be the nut : they are definetly too many, unless you want to conclude that this is a chromatic keyboard.

Another arbitrary element lies in the choice of the generally adopted fifth and octave tuning, inspired by the organum parallelum polyphonic technique, described in texts that precede any known depiction of the Organistrum by at least a century or two. Instruments made following these hypotheses have little use in the performance of medieval music.

 

2. A different solution

In search of a different solution, I found myself reconsidering two objects that are certainly of the first level.

 

A.) The only drawing of the keyboard that we have left, complete with indications on the scale and on the structure of the keys, is the one copied by Martin Gerbert from a 12th c. manuscript, now lost, in Saint Blaise monastery.

Gerbert's keys have been interpreted as revolving bars with a long "spatula" tangent placed under the strings. The tangent would be brought into contact with all three strings simultaneously through a rotation. This system does not work in practice.

I prefer another interpretation of this drawing: the eight keys would be rotatable or lever acting from above the strings, pressing them against fixed frets, and it works.

Gerbert provides a scale for the instrument: from C to the next C with a single accidental, Bb. The fact that the intonations of the other two strings are not indicated leads to the conclusion that :

  1. they all had the same frequency;
  2. were in C with different octaves;
  3. Gerbert has forgotten to copy them.

The indicated scale is the canonical one and logically must be respected. The indication for the tuning being incomplete, this does not mean that it should be overridden. It is preferable to stick to hypotheses 1. and 2.

So we are faced with a diatonic instrument capable of producing all the intervals of the diatonic scale with a continuous sound. As several authors have observed, it seems to be an evolution of the Monochord. What could this instrument be used for? To provide a certain reference of the notes (a tuner), to play pedals in polyphony helping the singers in intonation.

 

B.) The musical repertoire coeval with the representations of the Organistrum, all of the 12th century, gives us more suggestions.

The manuscripts of Limoges, Winchester, Santiago de Compostela and Paris (Notre Dame), show an interesting two parts polyphonic repertoire. The scales are strictly diatonic. The only alteration used is Bb. These compositions were sung and intended for the liturgy. Many of these, called organum floridum or melismaticum, consisted of a bass vox principalis, and a higher vox organalis. Each note of the vox principalis corresponds to groups of many notes of the vox organalis. The extension of the vox principalis in the Magnus Liber organi of Notre Dame is mostly from C3 to D4, rarely up to F4. The compositions in the F key start at A2 and jump to C3, never requiring B2 and Bb2.

It is possible that the Organistrum as described by Gerbert effectively entered into the performance of these parts.

 

3.More than eight keys.

How should we consider keyboards with more than eight keys?

They are actually only two:

  • organistrum from Collegiata de Toro (Spain) : the nut + 9 keys ;
  • the one from Santiago de Compostela : the nut + 11 keys.

I think the most realistic keyboard is that of Toro, which only adds one tone (D) to the octave.

In the case of Compostela it is very difficult to think of an extension of the diatonic keyboard by two tones and a semitone without visibly exceeding half of the diapason. The Santiago instrument, certainly the most beautiful, has preponderant symbolic value, as amply shown in my book. The 12 keys do not want to indicate the intervals of the scale of the instrument, but those of the cosmic harmony according to Pliny, as can be seen listed next to many grids of planetary latitudes in 11th and 12th century manuscripts of astronomical content.

 

Plinian Harmonia besides Planetary latitudes graph from Trinity College Cambridge, ms R15.32, p.6

The setting of the instrument at the center and at the top of the Portico describing the Glory of Heaven, the decorative details and the fundamental measures of the instrument have an evident astronomical and theological inspiration. It's important to underline that this sculpture, belonging to a masterpiece of the highest level, as one of the three most important sanctuaries of Christianity, deserved great symbolic significance.

 

4.Acoustic results

As with all theories, a crucial aspect lies in the experimental verification.

I have listened to many instruments, others I have heard in recordings, I built four different types myself. My conclusion is that the most coherent and most convincing version, with the most pleasant sound, is the one with the three strings in C3 and a diatonic fingerboard with levers acting over the strings.

 

Watch this video:

 https://www.youtube.com/watch?v=n2mqa5iZYFA

 

Best source:

https://ojs.unito.it/index.php/archeologiesperimentali/article/view/8489

 

 

 

 

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