SICILIA ARABA , Al-Siqilliyya: rebab siciliani del secolo XII

SICILIA ARABA , Al-Siqilliyya: rebab siciliani del secolo XII

Osservando i dipinti della Cappella palatina di Palermo e quelli della Cattedrale di Cefalù, eseguiti nella prima metà del secolo XII probabilmente dai medesimi artisti di scuola arabo-persiana, avevo notato che alle spalle dei suonatori ci sono spesso dei vasetti di forma e colore simile ai Rebab. Questi strumenti ad arco appaiono essere di due taglie leggermente dissimili: uno più piccolo a due corde e uno più lungo, a tre corde. La figura di quei vasi, che per di più erano attraversati da fasce decorative molto simili a quelle presenti tra il manico e la tavola armonica dei Rebab (come anche degli Oud), mi suggerì l'idea di tentare di ricostruirli con la cassa in ceramica invece che scavati nel blocco di legno.

 

                                                     

 

Qui occorre precisare che i Rebab delle pitture siciliane sono diversi da quelli raffigurati in qualsiasi altra pittura medievale, eccezion fatta per quelli, in alcune parti somiglianti, che si trovano nelle miniature delle Cantigas de S.Maria, d'un secolo e mezzo posteriori. Inoltre, tutti gli strumenti analoghi presenti nelle tradizioni dei popoli che vanno dalla Persia al Maghreb hanno forma differente, differenti decorazioni. Per questo ritengo che si possa parlare, così come per i liuti, di STRUMENTI TIPICAMENTE SICILIANI realisticamente rappresentati dai pittori. In ogni caso, non si conoscono strumenti musicali a corde di questo genere che siano fatti in ceramica o con parti in ceramica. Nemmeno vi sono prove archeologiche di tale uso nei secoli o, per lo meno, non ne sono state ancora trovate o identificate tra i reperti ceramici rinvenuti in area mediterranea. Fa eccezione un ritrovamento fatto a Roma, d'un "guscio" fatto in ceramica e che è ritenuto essere parte d'uno strumento musicale del tipo dei "liuti a manico lungo", risalente però a ben 1000 anni a.C., un periodo piuttosto lontano da quello della Sicilia arabo-normanna. E' vero comunque che la ceramica viene tuttora utilizzata per la costruzione di strumenti a percussione come la Darbuka in uso nei paesi arabi: un calice slanciato realizzato in terracotta, spesso dipinta, viene chiuso da un lato con una pelle.

Infine, ho osato procedere con il mio esperimento. Ho fatto plasmare dei modelli da un esperto: il più piccolo con la cassa e il manico in un solo pezzo in ceramica, cui ho applicato la tavola armonica in pelle e la tastiera con rosetta in legno e infine il piccolo cavigliere con due piroli, il più grande con la sola cassa in ceramica e tutto il manico in legno. Avendo avuto l'accortezza di lasciare non ceramizzato il bordo superiore della cassa e con dei forellini predisposti nel bordo inferiore, è stato facile incollarvi la pelle e fissarla con piolini di legno poi recisi, e la parte superiore con rosetta e tastiera in legno, utilizzando la stessa colla organica che si usa normalmente in liuteria. Il cavigliere del modello piccolo viene fissato all'estremità del manico ceramico, predisposta con un apposito foro, mediante una spina di legno e la stessa cosa avviene per la giunta cassa-manico nel modello grande.

Il risultato acustico è sorprendente: gli strumenti hanno suono potente, attacco pronto, un timbro meno dolce di quelli fabbricati in legno. All'obiezione che viene fatta dai musicisti di oggi circa la fragilità della terracotta rispondo che tali strumenti non correvano rischio alcuno, usati com'erano fra i cuscini e i tappeti della corte reale. L' immagine del musico itinerante, del jongleur, del menestrello, cara all'immaginario della musica medievale, è pertinente agli ambienti dell'Europa continentale. Certo, in questo caso lo strumento ideale è solo quello ben scolpito in solido legno.

Questa esperienza è spiegata dettagliatamente in un articolo che ho scritto nel 2014 per il convegno sulla liuteria medievale che si tenne a Parigi e a Chartres in quell'anno. 

 

                                                         

 

 

 

                                                

 

                             

SICILIA ARABO-NORMANNA: OUD (o Barbat?) IN "LEGNO" DI PALMA 1.

SICILIA ARABO-NORMANNA: OUD (o Barbat?) IN "LEGNO" DI PALMA 1.

L'idea di utilizzare legno di palma per tentare di costruire un Oud, o meglio sarebbe dire Barbat, scavandolo in unico blocco mi è venuta cercando un materiale più conveniente rispetto a quelli comunemente usati nella liuteria medievale, come tiglio, cipresso, acero o addirittura quercia, come nel caso di un Oud costruito con successo, ma con eccessiva fatica,  da un mio collega. Quando ho notato che l'unico albero raffigurato nelle pitture della Cappella palatina di Palermo (sec. XII) era la Palma, pensai di provare, benchè non si abbia notizia del suo utilizzo in nessuna tradizione di liuteria a me nota, nè occidentale nè africana o orientale.

 

  

 

 Supponendo che si tratti di Palma da datteri (Phoenix dactilifera) ho cercato dei tronchi e ne ho trovati moltissimi in zona (Randazzo-Etna), poichè molte piante sono state abbattute negli ultimi anni causa l'attacco di un parassita. La varietà è Phoenix canariensis.

 

                                                                                            

 

La parte esterna del fusto non promette bene, infatti è molle, fibrosa e pelosa, ma più si va verso l'interno e più la consistenza spugnosa lasca posto a una fibra compatta, sebbene intrisa di acqua.

Appena si aprono i tronchi l'acqua comincia a evaporare dalla superficie tagliata, che appare costituita da una fitta serie di fibre allungate di colore crema immerse in un impasto più tenero color nocciola. Scavando il blocco si estrae con facilità il materiale, utilizzando ascia e sgorbie e via via il materiale va rapidamente asciugandosi. 

                                                                                                                                       

     

                                                                                               

 

Per la facilità della lavorazione sembra che la scelta di questa particolare fibra vegetale, che non può propriamente chiamarsi legno, sia dunque plausibile. Pur rimanendo su uno spessore tra 1 e 2 centimetri, il peso della cassa armonica dello strumento, di dimensioni identiche a quelle di un Oud attuale, si aggira intorno a 1 chilo e 700 grammi. La croce interna di rinforzo pesa circa 180 grammi.

Questa croce serve per sostenere al centro la tavola armonica, prevista in pelle di capra, spessore 0.2 millimetri e per evitare che la tensione della pelle possa curvare i bordi della cassa verso l'interno. 

 

 

                                                   

                                                     

 

In questa fase del lavoro la fibra di Palma resiste, presentando qua e là lievi fessure e spaccature, facilmente riempite e saldate con colla organica. Usare la rasiera in acciaio per la rifinitura esterna non da buoni risultati perchè la superficie si segna con solchi trasversali. Carta vetrata e abrasivi creano molta polvere, ma riescono a rendere liscia e omogenea la superficie dell'oggetto.

A un mese dall'inizio della lavorazione non si nota alcun ritiro del materiale.

(1. continua)

 

CEFALU': QITARA (oud piccolo) DAI DIPINTI DELLA CATTEDRALE

CEFALU': QITARA (oud piccolo) DAI DIPINTI DELLA CATTEDRALE

Nel 1997 ricevetti incarico dall'associazione culturale "La Corte di Ruggero", nella persona del sig. Giovanni Biondo di Cefalù, di ricostruire uno strumento a corde dai dipinti della Cattedrale della loro città.

Dopo aver studiato le immagini, che risalgono al secolo XII e che da alcuni studiosi vengono attribuite agli stessi artisti che eseguirono le pitture dei soffitti della Cappella Palatina di Palermo, mi resi conto che c'erano due particolari di rilievo: la tavola armonica di colore chiaro senza traccia di fori di risonanza e una fascia scura alla base del manico.

La tavola chiara senza fori è interpretabile come una membrana in pelle, che realizzai utilizzando una pelle di capra come quella dei tamburelli, spessore mm.0,2. La fascia scura, spiegabile come una semplice decorazione, la interpretai all'epoca come uno scalino che consentiva un comodo incollaggio dei bordi della tavola armonica. Oggi, alla luce di più approfondite conoscenze, ho un'idea diversa a riguardo. La fascia di colore più scuro, presente in tutti gli strumenti a corde di Cefalù e della Cappella palatina di Palermo, assente nelle raffigurazioni di strumenti simili coevi, anteriori e successivi, provenienti da tutta l'area che va dall'Iran fino all Spagna, era probabilmente una piastra di rame lavorata a sbalzo e forata, oppure in legno, per consentire la fuoriuscita del suono. Si tratta di una caratteristica peculiare di tutti gli strumenti a corde siciliani.

 

                                                                        (Cappella palatina, Palermo)

 

Lo strumento, scavato in un solo blocco di Cipresso, con tre cori in budello, venne presentato a Cefalù in una bellissima occasione, creata dal sig. Italo Gomez nell'ambito di un convegno organizzato dall'Università di Palermo. Lo strumento fu suonato da un gruppo di Tunisi, che eseguiva brani della Nuba. Il suono risultava gradevole e potente, apprezzabile anche dai musicisti della tradizione nord africana.

Dopo di allora ne realizzai diversi altri esemplari, richiesti da vari musicisti, mentre il primo fu esposto per alcuni anni all'Osterio magno e in seguito nel Museo della Cattedrale di Cefalù.

 

                                                                   

 

 

                                                                     

 

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